Intervista a Lino Di Stefano

LO SAI CHE...
L’intervista Lino Di Stefano e l’ansia metafisicadi Fulvio Castellani
Già dai titoli dei saggi e degli studi fin qui realizzati da Lino Di Stefano, un attento studioso del pensiero non soltanto contemporaneo, si può intuire il percorso filosofico e storico che accompagna le sue ricerche e le sue incursioni nella filosofia e nella letteratura. Alcune delle sue opere: “La filosofia di G. Gentile”, “Il pensiero di U. Spirito”, “La filosofia di L. Pirandello”, “Profili di pensatori contemporanei”, “Pensatori del XX secolo”, “Vitalità del mondo latino”, “Le angosce di Pirande1lo”, “Nietzsche, oggi”, “Benedetto Croce cinquant’anni dopo”, “Bilancio su Kant e Pirandello”...Non è un caso, del resto, che con la saggistica abbia vinto numerosi premi (“Gabriele Pepe”, “Firenze-Europa”, “Napoli”...) e che anche la narrativa gli abbia riservato non poche soddisfazioni (Premio “Ciuffa”, “Europa sud”, “Ungaretti”...).I connotati del suo cercare e sondare, del suo penetrare nell’io degli autori e dell’epoca in cui le loro opere sono state concepite, hanno l’impronta inconfondibile della chiarezza e il fascino del concreto dominato dall’esigenza di aprirsi al dopo; in un atto d’amore infinito per la filosofia del vivere.Dire oltre non serve. È piú importante, crediamo, seguire gli sviluppi delle sue risposte alle nostre domande, tese, per l’appunto, a conoscere meglio quanto si agita in Lino Di Stefano.D.: - L’epoca in cui viviamo è simile in qualche modo a quell’“epoca pregna di valori, ma ricca, altresí, di contraddizioni e di incognite”, che è stata di Benedetto Croce e Giovanni Gentile ai quali lei ha dedicato non pochi studi?R.: No, non è per nulla simile a quella di Croce e Gentile sia perché di valori in giro se ne vedono pochi, sia perché esistono contraddizioni ed incognite immani sul futuro e della cultura e dell’umanità. Le cui sorti sono in bilico stanti i pericoli quali le guerre locali – non meno pericolose di quelle totali – l’inquinamento, le scorie nucleari e i malesseri esistenziali delle attuali generazioni. Non ultime, le immigrazioni selvagge che rischiano di alterare in maniera definitiva le identità dei popoli.D.: Cosa ritiene di aver ereditato dai due diòscuri della filosofia contemporanea?R.: Dai cosiddetti “diòscuri” (figli di Giove, per l’esattezza) della filosofia italiana ho ereditato, per cosí dire, l’alto senso dei valori presenti nelle loro “Weltanschauungen”. Valori non solo speculativi – simili, ma diversi fra i due Autori – ma anche storici, estetici e morali senza i quali la vita non ha senso e, di conseguenza, non è degna di essere vissuta. La lettura e la meditazione di una delle numerosissime opere dei due filosofi italiani se, da una parte, arricchisce, dall’altra apre ampi squarci per orientarsi nella vita. E qui voglio ricordare, per incidens, due lavori capitali dei due pensatori: la “Logica come scienza del concetto puro” di Croce e il “Sistema di logica come teoria del conoscere” di Gentile. Quest’ultimo ha anche scritto “Genesi e struttura della società”, altro capolavoro.D.: Il suo stile è “chiaro, preciso, efficace, incisivo” al pari di quello di Ugo Spirito, del quale si è occupato alcuni anni orsono con un saggio davvero esemplare a conferma anche del fatto che lo considera suo maestro di filosofia. Ugo Spirito proclamava la necessità di un profondo rinnovamento sociale, ma, in tutta confidenza, ci stiamo orientando verso tale obiettivo?R.: Ugo Spirito è stato non solo un ragguardevole filosofo, ma anche un importante economista; ma siccome la curiosità intellettuale del pensatore di Arezzo (anche se di origine calabro-lucana) ha spaziato nei vari campi del sapere; di lui possediamo anche lavori di carattere vario: attualità, pedagogia, scuola, sociologia, estetica, antropologia, religione.... Scrittore di grande levatura, il filosofo ottenne – negli anni Settanta – la “penna d’oro” dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. È uno dei pensatori italiani piú tradotti all’estero: Germania, Spagna, Portogallo... Una delle sue ultime opere tradotte in castigliano è il volume (scritto in collaborazione con Augusto Del Noce) “Tramonto o eclissi dei valori tradizionali?”. Il primo invece, “El pragmatismo en la filosofía contempóranea” (Buenos Aires, 1945).D.: Come sceglie gli autori ai quali dedicare la sua attenzione critica e storica ?R.: Scelgo gli autori in base alla loro ansia metafisica, quali per portare un esempio, Platone, Agostino, San Tommaso, Bruno, Spinoza, Leibniz, Kant, Hegel, Gentile, Bergson, Blondel... Per i letterati, almeno quelli a noi piú vicini, Verga, Pirandello, Svevo, Berto, Tomasi di Lampedusa, Rilke, Musil, Kafka...D.: Perché è ritornato di moda Friederich Wilhelm Nietzsche nonostante venga ancora indicata la sua filosofia con i termini “superomismo, irrazionalismo, ateismo, immoralismo”?R.: Nietzsche, com’è ormai a tutti noto, è stato non solo frainteso, ma anche annesso dalle diverse parti politiche. Merito grandissimo è stato quello di Giorgio Colli e dei suoi collaboratori (Montinari, Masini, Giametta ed altri) che ce lo hanno filologicamente restituito per quello che è. E, cioè, un grande filosofo, un grande filologo anche se con qualche carica eversiva che non inficia, però, gli indubbi meriti dell’infelice studioso di Rocken. Il quale era stato un ottimo profeta quando aveva osservato di essere un filosofo attuale soltanto nel XXI secolo.D.: Cosa predilige di Luigi Pirandello?R.: Di Pirandello – il piú grande filosofo del Novecento secondo lo storico della filosofia Sergio Moravia – ho sempre prediletto l’aspetto speculativo. E, infatti, nella celeberrima prefazione ai “Sei personaggi in cerca d’autore” l’Agrigentino si è definito, appunto, scrittore “di natura piú propriamente filosofica”. Ma Pirandello è grande nei romanzi, nelle novelle e, in particolare, nei drammi. Come è stato, opportunamente, rilevato le sue opere teatrali sono le uniche che possono reggere il confronto con i grandi tragici greci. Segnatamente i menzionarti “Sei personaggi” e l’“Enrico IV”. Però, anche “Cosí è (se vi pare)”, “Diana e la Tuda”, “Trovarsi” e i rimanenti drammi sono la dimostrazione della grandezza dell’Italiano. Il quale è stato anche un ottimo saggista – “L’umorismo” ed “Arte e scienza”, entrambi del 1908 – traduttore: le “Elegie” di Goethe, “Il Ciclope” in dialetto siciliano ed altri lavori versati sempre in dialetto siculo. Insomma, l’Agrigentino rimane, a mio giudizio, il piú grande Autore a cavallo fra il XIX e il XX secolo.D.: Dei pensatori contemporanei, chi, a suo avviso, merita particolare attenzione?R.: Dei pensatori a noi piú vicini – una volta assodato che i maggiori, sempre a mio parere, restano Croce, Gentile, Nietzsche, Wittgenstein, Heidegger, Jaspers, Bergson, Blondel – stimo molto Emanuele Severino, quantunque non condivida alcune sue posizioni, Gustavo Bontadini, Ugo Spirito, Pantaleo Carabelles e qualche altro. Naturalmente, hanno detto cose interessanti anche l’Abbagnano e M. Federico Sciacca nonché Armando Carlini e Augusto Guzzo. Questi ultimi tre, tutti spiritualisti. Interessante pure il pensiero di Cornelio Fabro, tomista insigne.D.: Chi ha ora nel mirino e vorrebbe indagare e vivisezionare?R.: Attualmente non ho nessun pensatore nel mirino ed anche il tanto lodato Hans Georg Gadamer resta molto distante dal suo maestro Martin Heidegger. La sua ermeneutica, interessante, dal punto di vista speculativo non possiede la potenza dei grandi filosofi. Comunque lo sto approfondendo.
Di Fulvio Castellani

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