Parola e consonanza di Amerigo Iannacone

LO SAI CHE...
La vita si contempla, si abita, e poi la si scrive, superando gli effetti ovvi o abituali di ogni genere di percezione e di conoscenza di essa. Amerigo Iannacone è quello che fa con i suoi interventi critici dedicati ad opere di autori molto vicini alla sua terra (e passione), al proprio progress culturale. Ed ecco letture di poeti campani e marsicani, ciociari, e di un Centro-Sud piú spesso dimenticato o eluso e – quindi – oscurato da ogni genere di presenza naturale o non organizzato per il successo, ma neanche destinato al fallimento se già è colto dall’interesse di questo studioso, non romantico o timido e, indubbiamente pronto all’azione, quando si tratta di stare in comunione con le scritture necessarie, i turbamenti, i problemi, i momenti di splendidità e – comunque – quando è possibile scoprire essenze di godibilità e di onesta riflessione sulla poesia tout court, che la società attuale sfugge per altre scuole e retoriche. Nelle “testimonianze” in ogni caso la sua attenzione ne accoglie le istanze e gli equilibri, analizzando opere spesso nascoste, che la critica ufficiale perde di vista, dovendo recitare la parte servile di addetta ad eventi editoriali, di maggior prestigio e intesa di clamori. Radica ai chiarimenti il proprio discorso, la lettura ordinata, esatta, mai sovrapposta alla voluttà di intense teorie, o di speciosi usi complessi, decadenti. Ho trovato notevole l’ondosa e insieme duttile materia de “La poesia oggi” (incrinature e totalità, evento di segni e canoni interattivi. E poi quell’excursus su “Poeti ciociari”, pretesto quanto mai responsabile di dedicare a un’area segretamente operativa il movente informante e la funzione sí e no sostanziale della crisi dell’espressione insieme a certe fasi promozionali della loro ricerca, su azzeccati stralci d’opera, peraltro distanti da ogni “linea” anceschiana, lumi di oggettivo conio, nomi come: Dante Cerilli, Antonio De Angelis, Donato Di Poce, Amedeo di Sora, Elmerindo Fiore, Sergio Sòllima, Giulio Tamburrini, Domenico Adriano, Mariano Coreno, Tommaso Lisi, Giuseppe Quirino, Annarosa Panaccione, Maria Benedetta Cerro, Giuseppe Bonaviri, Alfonso Cardamone, Francesco De Napoli, Sergio Gabriele, Gëzim Haidari, Antonio Vanni, Gerardo Vacana. Questi non tutti di origine ciociara, ma coinvolti in una comunicazione fruitivamente contemporanea, aperta ed esperta, e non tutti giovani. Codici e contrasti comunque assorbiti dalla tensione e dalla vicenda del nascere e del rinascere nella poesia, e forse soltanto per il suo alveo. Amerigo Iannacone configura convincentemente la sua soddisfazione nell’aver letto i poeti nell’ottica di un’oralità spontanea, meditativa, perspicace. Le prose critiche sono state ab initio prova orale e pubblica di una “presentazione” dedicata dalla sua viva voce e, dopo qualche fermento, sono diventate testualità ulteriormente pubblicitaria. Ed è quello di cui hanno bisogno i poeti, a cui spesso sono imposti clandestinità e insistente timore di dover essere esclusi del tutto dalla comunità, non dico dei valori, ma dei diritti di dirsi, di diventare provocatori, di uscire dall’isolante passività, e nella libertà di cercare un modello continuo dell’essere, e non mere ombre sconfitte; piú o meno entità provvisorie di se stesse, e magari sottomesse ad illeciti ed ambigui risi o morbidi sarcasmi). Un altro dono non secondario è l’introduzione del testo recensivo, affiancato dalla copertina come occasione, se non imprescindibile, immagine di orientamento e di tesi meno stretta. Niente di mimetico, né di evocativo, ma ritrovamento, per il poeta, dell’essere nella dignità, in attesa – se mai – di trovare nuovo spazio, disponibilità non imperfette e brevi, o di irrispettosa sopportabilità. Una questione vitale (non alternativa) a un lavoro illimitabile, non proprio comodo, né ameno; impegnato quanto mai, e pur rifiutato dalla situazione reale, ma qui riproposto con ebbrezza (privo di lucro).
Domenico Cara

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