Libro su “Trasformazione, trasformismo o transumanza?‎”

La politica è spesso una questione di parole e di lessico. Lo sa benissimo il professor Michele Graziosetto, docente e storico romano, eclettica figura di intellettuale, ricercatore, romanziere e poeta. Ha poi diretto come preside licei in Piemonte e nel Lazio oltre ai corsi di italiano presso il consolato d’Italia a Lille, in Francia. Suo il lavoro dal titolo “Trasformazione, trasformismo o transumanza?‎”, edito da Rubbettino e di prossima presentazione anche in Puglia, insieme all’imminente ulteriore volume, sempre a sua firma, “Francesco Crispi. La religione della Patria nella stagione del Trasformismo‎” (a Bitonto, il prossimo 2 dicembre, alle ore 19,00, presso le Officine Culturali, piazza Gramsci). Arricchito da una prefazione di Gaetano Quagliarello, lo studio indaga a fondo il periodo di formazione e costituzione politico-sociale seguito all’Unità d’Italia. Il trasformismo come momento circoscritto, dunque, a quell’età, agli uomini della classe dirigente di fine ‘800. All’insegna della tutela di un binomio preciso: quello della fedeltà alla monarchia e al patriottismo nella nascente nazione. Era nato con questi intenti il trasformismo, per chiaro e preciso indirizzo profilato dal suo riconosciuto fondatore, Agostino Depretis, l’8 ottobre del 1876. Era stato inizialmente pensato per significare l’allargamento della maggioranza, con l’auspicio dell’unità tra le parti liberali della Camera interessate all’amministrazione dello Stato (includendo così l’aera di Marco Minghetti). Ma dopo pochi decenni il termine assunse presto l’accezione negativa che ancora oggi conserva. Graziosetto, invece, preferisce ricondurre il trasformismo al suo preciso momento storico, certo allora ristretto all’élite di potere, schivando l’equivoco di unire al termine depretisino quello di “connubio”, di natura conservatrice, legato a Cavour (nonché ai meri interessi del Regno di Sardegna). Il particolare disegno di Depretis (di cui Graziosetto indaga anche i contrasti, soprattutto con de Sanctis e Nicotera) cerca, piuttosto, di scongiurare il radicalismo e il clericalismo, in moderata chiave di conversione al centro, su di un partito nazionale e liberale, pur sempre in ottica progressista. Ad unire la sinistra del politico lombardo alla destra, oltre all’avversione ai radicali alla Cavallotti, fu anche la comune idiosincrasia verso i cattolici, in una sorta di fratellanza nella tradizione massonica e nella civiltà dei Lumi. Il progetto, come prevedibile, fallì. Ad inferire il colpo finale soprattutto un pezzo della sinistra interna, passata alla storia come Pentarchia perché formata principalmente da cinque nomi: Baccarini, Cairoli, Crispi, Zanardelli e, appunto, Nicotera. Ma il termine trasformismo abbraccia polisemicamente l’intera storia unitaria, soprattutto post-fascista, per lo più in ambito partitocratico e filo-occidentale.Ecco l’istituzionalizzazione del metodo e la fortuna di quello stesso termine, nella degenerazione però della “transumanza”, secondo l’autore. Graziosetto risale all’etimo, nel senso degenerativo e legato ai pasticci assembleari e consociativi, del “trans” come orientamento e movimento verso una “humus” intesa come “nuovo potere, a recupero di quello perduto o sul punto di essere cancellato”. Di “randagismo politico” parla invece Quagliarello nella prefazione al testo. Aldo Moro, Pci, sinistra e destra Dc, Craxi, De Mita: l’analisi di Graziosetto, attraverso molti passaggi, arriva così al nostro vicino ieri (governo D’Alema del ’98, per esempio), padre dell’oggi storico. La questione del trasformismo diviene, quindi, il pretesto per un vero e proprio excursus nell’Italia repubblicana, una piccola e godibile sintesi di storia politica. Il termine, allora, sopravvisse a chi lo coniò. Nel suo senso storico, invece, a dire del professor Graziosetto, muore nel 1946, perché in quella data finisce il lascito ottocentesco, elitario e ristretto, seppur magari mosso da fini e ispirati intenti, visto che “in quel giorno tutti i cittadini, di ambo i sessi, per la prima volta, vanno a votare e tutti sono legittimati a rappresentare la volontà popolare”. Concludono il libro alcuni interessanti saggi su più temi storiografico-politici: Crispi, Giolitti, Fedele, Gobetti, chiesa e stato tra ‘800 e ‘900. Presenti anche tre recensioni ad altrettanti volumi a firma di Gaetano Quagliarello (“Cattolici, Pacifisti, Teocon. Chiesa e politica in Italia dopo la caduta del muro”), Agostino Giovagnoli (“Il caso Moro. Una tragedia repubblicana”) e Sandro Fontana (“I grandi protagonisti del Popolarismo Italiano. Sturzo, De Gasperi, Moro”).
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