Per il Premio MINTURNAE PREMIO PER L’OPERA PRIMA per la Storia, la Commissione, dopo aver esaminato le opere pervenute, decide di assegnare all’unanimità il premio a LUIGI AMBROSI per il volume LA RIVOLTA DI REGGIO. STORIA DI TERRITORI, VIOLENZA E POPULISMO NEL 1970 PREFAZIONE DI SALVATORE LUPO. CASA EDITRICE RUBBETTINO SOVERIA MANNELLI (CZ)
MOTIVAZIONE
Il volume è particolarmente interessante per la disamina delle ragioni sociali e cuturali che spinsero varie realtà calabresi e diversificati strati di popolazioni - tradizionalmente laboriose - ad uno scontro senza quartiere.
Le motivazioni sono progressivamente elaborate dall’ Autore con particolare accento sulla “paura” delle diverse comunità di vedersi ridotto lo spazio delle già magre risorse statali. Reggio aspirava a recitare un ruolo di baricEntro politico e sociale prioritario, rispetto alle altre due consorelle, Cosenza e Catanzaro, che negli anni 60 avevano fatto registrare un tasso più alto di sviluppo socio-economico e demografico.
Al dramma dell’emigrazione si sarebbe aggiunta la beffa di una confusa e mortificante ri-distribuzione di quelle risorse statali non sul piano di un equilibrato programma di sviluppo, ma sulla base di una asfittica divisione operata dai gruppi politici di maggior peso - a livello dei partiti nazionali – a svantaggio di altri più deboli.
Emerge il percorso non lineare delle forze politiche, aggrovigliate in un ginepraio di interessi trasversali, senza una visione generale, e inserita in un contesto di prospettiva nazionale; l’offuscamento dell’intero progetto regionale che doveva decidere dove allocare la struttura dell’Università, il capoluogo e i bacini industriali; il miope reticolato degli interessi dei maggiori partiti, che rimasero quasi inerti di fronte all’irrompere di avanguardie decisamente fasciste: queste nella rivolta tentano una sorta di recupero di uno spazio fino ad allora bloccato dalle forze politiche al potere e dall’opposizione comunista.
L’intuizione dell’Autore di collegare la “grande paura” dei protagonisti territoriali, timorosi appunto di vedersi sfuggire e/o incrementare le risorse esterne alla provocazione successivamente esplosa, è fondamentale per capire i motivi dello scontro che poi insanguinò la terra calabrese.
La lettura della rivolta è infatti possibile se si mette in luce in qual modo le forze politiche delegate a guidare lo sviluppo politico della Regione, da una parte, avevano abbandonato la cosiddetta linea di un’economia legata al rapporto osmotico campagna-città - e ai lenti processi industriali; dall’altra, si erano orientate verso un altro orizzonte: quello dell’economia parassitaria, statale e terziaria, che può avere un suo valore, quando l’intero Paese si fa carico di tutto con risorse aggiuntive. Purtroppo, la de-ruralizzazione quasi selvaggia, l’improvvisa emorragia dalle campagne alla città o al nord o all’estero, veniva arginata, nell’immediato, da posti di lavoro che solo il terziario poteva mettere a disposizione. La contesa –trasformatasi in pochi mesi in una violenza ai limiti dell’ imbarbarimento di ogni rapporto su questo modesto patrimonio tra le varie città coinvolte- degenerò in quelli che sono stati chiamati i terribili giorni di Reggio. Sembra che l’Autore abbia in qualche modo fatto iniziare da quel momento un modo di intendere la politica non più come modo di confronto legaledi una comunità dignitosa, ma come la rabbiosa risposta del più debole di fronte al più forte.
MOTIVAZIONE
Il volume è particolarmente interessante per la disamina delle ragioni sociali e cuturali che spinsero varie realtà calabresi e diversificati strati di popolazioni - tradizionalmente laboriose - ad uno scontro senza quartiere.
Le motivazioni sono progressivamente elaborate dall’ Autore con particolare accento sulla “paura” delle diverse comunità di vedersi ridotto lo spazio delle già magre risorse statali. Reggio aspirava a recitare un ruolo di baricEntro politico e sociale prioritario, rispetto alle altre due consorelle, Cosenza e Catanzaro, che negli anni 60 avevano fatto registrare un tasso più alto di sviluppo socio-economico e demografico.
Al dramma dell’emigrazione si sarebbe aggiunta la beffa di una confusa e mortificante ri-distribuzione di quelle risorse statali non sul piano di un equilibrato programma di sviluppo, ma sulla base di una asfittica divisione operata dai gruppi politici di maggior peso - a livello dei partiti nazionali – a svantaggio di altri più deboli.
Emerge il percorso non lineare delle forze politiche, aggrovigliate in un ginepraio di interessi trasversali, senza una visione generale, e inserita in un contesto di prospettiva nazionale; l’offuscamento dell’intero progetto regionale che doveva decidere dove allocare la struttura dell’Università, il capoluogo e i bacini industriali; il miope reticolato degli interessi dei maggiori partiti, che rimasero quasi inerti di fronte all’irrompere di avanguardie decisamente fasciste: queste nella rivolta tentano una sorta di recupero di uno spazio fino ad allora bloccato dalle forze politiche al potere e dall’opposizione comunista.
L’intuizione dell’Autore di collegare la “grande paura” dei protagonisti territoriali, timorosi appunto di vedersi sfuggire e/o incrementare le risorse esterne alla provocazione successivamente esplosa, è fondamentale per capire i motivi dello scontro che poi insanguinò la terra calabrese.
La lettura della rivolta è infatti possibile se si mette in luce in qual modo le forze politiche delegate a guidare lo sviluppo politico della Regione, da una parte, avevano abbandonato la cosiddetta linea di un’economia legata al rapporto osmotico campagna-città - e ai lenti processi industriali; dall’altra, si erano orientate verso un altro orizzonte: quello dell’economia parassitaria, statale e terziaria, che può avere un suo valore, quando l’intero Paese si fa carico di tutto con risorse aggiuntive. Purtroppo, la de-ruralizzazione quasi selvaggia, l’improvvisa emorragia dalle campagne alla città o al nord o all’estero, veniva arginata, nell’immediato, da posti di lavoro che solo il terziario poteva mettere a disposizione. La contesa –trasformatasi in pochi mesi in una violenza ai limiti dell’ imbarbarimento di ogni rapporto su questo modesto patrimonio tra le varie città coinvolte- degenerò in quelli che sono stati chiamati i terribili giorni di Reggio. Sembra che l’Autore abbia in qualche modo fatto iniziare da quel momento un modo di intendere la politica non più come modo di confronto legaledi una comunità dignitosa, ma come la rabbiosa risposta del più debole di fronte al più forte.
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